Questo articolo in breve:
- Cos’è la versione di greco o latino
- Eccessiva dipendenza dal vocabolario
- Esempio di versione di latino (Sallustio)
- Problemi della versione: troppa grammatica, poche idee degli antichi
- Esempio di traduzione di uno studente
Chi ha studiato greco antico o latino al liceo associa subito queste lingue alla “versione”: una decina di righe di Cicerone, Livio o Senofonte da tradurre per un compito a casa o una verifica in classe. Versione significa per lo più passare un paio d’ore a cercare in modo compulsivo significati sul vocabolario. Per i ragazzi di oggi, come per quelli di un secolo fa, la versione rimane la prova principe di latino e di greco.
Certe abitudini scolastiche rischiano di essere date per scontate. La versione è quindi percepita come il modo più naturale per imparare, e per verificare, la conoscenza del latino o del greco . Ma pensateci: per nessun’altra lingua la parola “traduzione” ha un significato così ridicolo: ve lo immaginate un corso di inglese di alcune centinaia di ore (tante sono dedicate al latino e al greco nei licei) che abbia come obiettivo finale una “versione” di Oscar Wilde? Intere classi di studenti intenti a sfogliare il vocabolario, con la preoccupazione di arrivare alla fine in qualsiasi modo, di non lasciare “buchi”, di trovare qualche frase già tradotta sul dizionario. Ecco, se la “traduzione” fosse questa, gli studenti avrebbero per l’inglese gli stessi malumori che nutrono oggi per il latino e il greco.
Tanto più che il vocabolario è uno strumento che pochi insegnanti insegnano davvero a usare. Peccato che in qualsiasi altra lingua l’obiettivo sia arrivare a comprendere facendo a meno del vocabolario, o ricorrendovi in casi sporadici e in modo mirato, per confermare o cambiare un significato che abbiamo intuito. Peccato che nessun editore ormai investa più in vocabolari, perché c’è Google.
Il problema è proprio la versione
Il risultato di versioni e traduzioni fatte in questo modo è spesso una pioggia di insufficienze. Ora, sapete qual è la spiegazione data dagli insegnanti? Semplice: i ragazzi non studiano la grammatica, copiano i compiti dalla rete o dai compagni più bravi, si buttano a caso sul vocabolario.
Tutto vero. Se però la stragrande maggioranza degli studenti affronta il latino e il greco con tanto disamore, e subisce ogni traduzione come una vigna la grandine, forse il problema è la prova in sé. Ignorare le idee degli antichi, rassegnarsi ai brutti voti, usare il vocabolario a casaccio è la reazione a una richiesta che ormai, per gli studenti, non ha più senso.
Un esempio di versione dal latino
Chi è fuori dalla scuola può avere difficoltà a figurarsi la situazione. Ma facciamo un esempio pratico, tratto da una classe di liceo scientifico. L’insegnante ha passato l’ultimo mese e mezzo a spiegare opere, stile e idee di Sallustio, storico e politico latino del I secolo a.C. Ha fatto tradurre dei brani di quell’autore, li ha corretti insieme agli studenti. È molto bravo, ma ha ereditato una classe non sua e quel metodo regola-eccezioni-frasette-versione in cui non crede più da tempo.
È inevitabile ora verificare le conoscenze degli allievi attraverso una versione. L’insegnante sceglie allora un passo della Guerra contro Giugurta, Bellum Iugurthinum, opera in cui Sallustio raccontò la guerra di Roma appunto contro Giugurta, re della Numidia (grosso modo la regione settentrionale dell’Algeria). Vi riporto qui sotto il testo preparato dall’insegnante. . Più che al latino, fate caso a come sono stati disposti i contenuti:
La lettera di Scipione al re Micipsa, piena di elogi rivolti al giovane nipote Giugurta, spinge il re Numida a riconoscerlo come erede al pari dei suoi due figli, Aderbale e lempsale.
Giugurta aveva militato per volontà di Massinissa nell’esercito romano impegnato nell’assedio di Numanzia sotto il comando di P. Cornelio Scipione Emiliano, che aveva molto apprezzato il suo valore guerriero e il suo carattere indomito. Prima di rimandarlo dal re Micipsa, Scipione aveva ammonito il giovane Giugurta a non farsi corrompere dall’oro di coloro che avrebbero tentato di trarlo dalla loro parte e ad ottenere piuttosto la fama e il regno con le sue qualità.
Sic locutus cum litteris eum, quas Micipsae redderet, dimisit. Earum sententia haec erat: "Iugurthae tui in bello Numantino longe maxima virtus fuit, quam rem tibi certo scio gaudio esse. Nobis ob merita sua carus est; ut idem senatui et populo Romano sit, summa ope nitemur. Tibi quidem pro nostra amicitia gratulor. Habes virum dignum te atque avo suo Masinissa". Igitur rex, ubi ea quae fama acceperat ex litteris imperatoris ita esse cognovit, cum virtute tum gratia viri permotus flexit animum suum et Iugurtham beneficiis vincere aggressus est statimque eum adoptavit et testamento pariter cum filiis heredem instituit.
Sed ipse paucos post annos morbo atque aetate confectus cum sibi finem vitae adesse intellegeret, coram amicis et cognatis itemque Adherbale et Hiempsale filiis dicitur huiusce modi verba cum Iugurtha habuisse:
Micipsa morente ricorda a Giugurta di averlo adottato e trattato da figlio e lo ammonisce a restare unito ai suoi fratelli adottivi e governare con loro in armonia.
Prima un titolo lunghissimo, in italiano, riassume il passo latino; un’introduzione, sempre in italiano e fitta fitta, ne dà il contesto. Finalmente Sallustio: poche righe. Vero, dopo segue un altro breve passo : ma sono le cosiddette “righe facoltative”, che gli studenti non sono obbligati a tradurre e che perciò tutti ignorano. Infine, una riga e mezzo in italiano riassume il seguito del brano.
Contiamo le parole del documento. In italiano: 127. In latino: 125, ma siccome nessuno toccherà le 31 facoltative, in realtà solo 94. Qui si vede tutto lo sforzo fatto dall’insegnante per evitare che il testo di Sallustio sembrasse “piovuto dal cielo”. Insomma, due ore per tradurre 94 parole, con il supporto di riassunti, contesti e lavoro in classe; e questo dopo anni di studio del latino. Per il docente è una sorta di umiliazione. Qualcosa non va nel metodo, e sarebbe stupido nasconderlo.
Molta grammatica, poco Sallustio
Su questa prova possiamo aggiungere qualcos’altro. Come “versione” è in effetti ottima: in poche righe si susseguono parecchi costrutti grammaticali, molti dei quali tipici di Sallustio (chi ha studiato latino avrà delle reminiscenze!): participio congiunto, relativa impropria, dativi come se piovesse, infinitiva, ut completivo, ubi per cum, la coppia di correlativi cum… tum.
Tuttavia la nostra versione è anche un brano composto duemila anni fa da uno storico, che diede un sintetico, eccezionale ritratto di Giugurta. Il generale numida, dapprima ammirato dai Romani, divenne poi un pericolo per l’Urbe, che fu costretta a intervenire in Africa. Se avete la possibilità, leggete in traduzione i capitoli 5-12 della Guerra contro Giugurta. In tre paginette gusterete il ritratto di Giugurta, la sua doppiezza e ambizione, la sua ferocia machiavellica.
Quanto di tutto ciò si assapora in 94 parole?
La ricerca ostinata di senso nella versione
Prima di concludere il discorso, voglio soffermarmi sulla traduzione del brano in questione. Al centro del testo c’è una lettera di Publio Cornelio Scipione Emiliano. Costui era il generale romano che nel 134-133 a.C. si lanciò nell’assedio della città di Numanzia, in Spagna. Le truppe romane potevano contare sull’appoggio di un contingente della Numidia, allora alleata di Roma. A capo di quel gruppo c’era appunto Giugurta, inviato a combattere da suo zio Micipsa, l’allora re della Numidia. Ecco il testo di Sallustio:
Avendo così parlato, Scipione congedò Giugurta con delle lettere da consegnare a Micipsa. Questo era il loro contenuto: «Nella guerra di Numanzia il tuo Giugurta ha dimostrato un valore davvero straordinario, e sono certo che la cosa ti farà piacere. Egli mi è caro per i suoi meriti: farò di tutto perché lo sia anche al senato e al popolo romano. Mi congratulo con te per la nostra amicizia. Hai un uomo degno di te e del tuo avo Massinissa».
Questa è la traduzione “corretta”. Ora voglio sottoporvi la traduzione di uno studente. Il suo livello non è molto peggiore di quello di tanti suoi compagni che rimediano ai sistematici 4½ delle versioni con i 7 nelle interrogazioni di letteratura. . Ecco, dopo due ore di fatica, come ha tradotto il testo:
Così parlò Scipione, quando con una lettera liberò Giugurta e lo restituì a Micipsa. Questo era il suo pensiero: «Il tuo Giugurta, nella guerra di Numanzia, sapendo che la situazione fosse piacevole di certo, fu comunque fortemente al massimo grado di virtù. Per questi suoi meriti è a noi molto caro; ed allo stesso modo a lui si appoggiarono il senato e il popolo Romano per una grande assistenza».
Non è mio obiettivo soffermarmi sugli errori di grammatica, di sintassi o di lessico. Vi chiedo invece di leggere la traduzione come un testo indipendente dall’originale latino (dopo tutto, è proprio questo che si richiede ai giovani con la “versione”): vi renderete conto che lo studente si è tenacemente sforzato di dare un senso a ciò che scriveva. Nonostante la massima demotivazione, dopo una ventina di prove andate male o malissimo, dopo due o tre estati con il debito in latino, non ha rinunciato a credere che una versione abbia un significato. E che il suo compito sia trovarlo ed esprimerlo, quel significato.
Qui c’è una speranza, è chiaro. Con questo metodo e questo tipo di prove, però, è chiara anche un’altra cosa: povero prof, povero Sallustio e poveri studenti.