Questo articolo in breve:
- Introduzione al "comunismo" delle isole Eolie
- Pentatlo e la spedizione in Sicilia dei coloni di Cnido e Rodi
- Morte di Pentatlo e stanziamento dei coloni alle Eolie
- Descrizione del comunismo a Lipari e nelle isole vicine
- Importanza della specificità coloniale per spiegare il "comunismo" delle Eolie
L’opinione comune ritiene che il comunismo sia stato adottato per la prima volta in Russia, in seguito alla rivoluzione del 1917. Tuttavia se alla base di quell’esperienza politica poniamo un concetto fondamentale, cioè l’abolizione della proprietà privata, la storia ci offre un altro esempio per molti aspetti sorprendente. Bisogna andare indietro di quasi duemilaseicento anni, epoca alla quale le nostre fonti (Diodoro Siculo e Pausania) ci parlano di una comunità che “socializzò i propri beni”, “vivendo in regime comunistico” e consumando pasti collettivi, in cui il cibo era messo in comune dai cittadini. Anche il luogo di tale esperimento politico desta meraviglia in chi non si occupi di storia antica: siamo alle isole Eolie, ed in particolare a Lipari, l’isola maggiore dell’arcipelago.
L’antefatto in Asia Minore
Andiamo con ordine, cercando di capire cosa accadde alle Eolie. Gli antichi Greci avevano un sistema di datazione diverso dal nostro. Il loro punto di riferimento, da cui iniziavano a calcolare gli anni “dopo”, era la prima Olimpiade, che secondo il nostro calendario si celebrò nel 776 a.C. Visto che le Olimpiadi si tenevano ogni quattro anni, quando gli antichi dicevano che un fatto si era svolto “ai tempi della decima olimpiade”, significava che poteva essere accaduto nell’anno dei giochi (740 a.C.) o in uno dei tre anni successivi (dal 739 al 737 a.C.). Questo per introdurre il discorso di Diodoro Siculo, che ci informa di come, nel corso della cinquantesima olimpiade (580-577 a.C.), alcuni uomini della città greca di Cnido, nell’attuale Turchia, si imbarcarono per andare a fondare una nuova città in Sicilia.
Come ogni avventura coloniale greca non si trattò della partenza disordinata di persone in difficoltà. Al contrario la spedizione fu organizzata nei dettagli dalla madrepatria, che assegnò ai coloni, come era consuetudine, un capo (οἰκιστής, oikistès, ovvero “fondatore”), proveniente da un’ illustre famiglia. Il suo nome era Pentatlo e si vantava di discendere dallo stesso Eracle. Al gruppo di uomini salpati da Cnido si unì un altro contingente originario della vicina isola di Rodi. Insieme intrapresero un viaggio non breve, giungendo fino alla punta occidentale della Sicilia, nei pressi dell’odierna Marsala. Il loro obiettivo era di fondare una città vicino al capo Lilibeo, la punta della Sicilia che guarda a ponente. Ecco le parole di Diodoro Siculo:
Le prime disavventure e la morte di Pentatlo
Le condizioni della Sicilia, al momento in cui Pentatlo e i suoi sbarcarono al Lilibeo, erano particolari. L’isola non era più “vergine”, almeno dal punto di vista ellenico: le colonie greche costellavano l’intera sponda orientale ed anche la parte meridionale era saldamente in mani greche. Gli abitanti di Megara Iblea, non lontano da Siracusa, avevano fondato Selinunte; proprio nel 580 a.C. la florida città di Gela aveva sancito la nascita di Agrigento con i propri coloni. L’estremo occidente era invece occupato dai Fenici, che a avevano nell’isola di Mozia, nei pressi di capo Lilibeo (dove voleva stabilirsi Pentatlo), uno snodo commerciale determinante per i traffici con tutto il Mediterraneo occidentale. Oltre a Greci e Fenici, c’erano poi gli indigeni, stanziati per lo più nelle zone dell’interno.
La geografia politica della Sicilia aveva dunque dei connotati chiari: centocinquant’anni di presenza greca e fenicia avevano ridotto drasticamente le possibilità di trovare delle terre buone da colonizzare. Ciò che restava poneva dei rischi, soprattutto poteva urtare la suscettibilità di vicini poco accomodanti. Così Pentatlo venne a trovarsi in un territorio infuocato: da un lato i Fenici, dall'altro i Selinuntini che erano in guerra con gli Elimi, gli indigeni di quella regione.
Gli Cnidi di Pentatlo, quando ancora la loro colonia non era stabilita, portarono aiuto a Selinunte. È molto probabile che la scelta non fu casuale. Infatti lo sbarco proprio al capo Lilibeo, in un momento tanto teso per la regione, fa pensare che ci fosse stato un precedente contatto tra Cnido e Selinunte: forse quest’ultima invitò esplicitamente i Greci d’Asia a stabilirsi nella Sicilia occidentale per avere degli alleati contro i propri avversari. Comunque siano andate le cose, quello che è certo è che per i nuovi arrivati la sorte non girò al meglio: i Selinuntini furono sconfitti ed in battaglia morì lo stesso Pentatlo.
L’approdo alle isole Eolie
Dunque, secondo la nostra fonte, Cnidi e Rodii avrebbero deciso di tornare mestamente in patria. In realtà la notizia è poco convincente. Sappiamo infatti che una volta partiti, i coloni non potevano più rientrare nelle loro città di partenza. Erodo ci racconta per esempio di come i coloni partiti da Thera (attuale Santorini) per stabilirsi in Africa, cercarono di far rientro in patria ma furono cacciati via a sassate dai vecchi concittadini. Del resto gli Cnidi e i Rodii finirono per fermarsi in Sicilia. Diodoro ci dice che il loro approdo alle isole Eolie fu casuale, ma forse dietro lo stanziamento nell’arcipelago ci fu un calcolo preciso: non è escluso che gli errabondi Greci d’Asia siano stati indirizzati a Lipari (o Lipara, come si diceva in greco antico) da altre città di Sicilia, come Gela, che volevano disturbare il duopolio di Reggio e Zancle (Messina) nel controllo dello stretto.
Ad ogni modo i coloni, orfani di Pentatlo, riuscirono a fondare una stabile comunità sull’isola di Lipari, unendosi pacificamente agli autoctoni.
Il "comunismo" e la divisione dei beni
Alle isole Eolie accadde un fatto davvero insolito. La prima cosa, la più importante che i coloni facevano quando fondavano le loro nuove patrie, era la divisione delle terre. Il possesso di un proprio appezzamento doveva essere un desiderio fortissimo negli individui che, rischiando tutto, lasciavano le proprie città per cercar fortuna in Occidente. Anzi, la mancanza di terre nei luoghi d’origine era tra le cause più frequenti che spingevano all’emigrazione. Proprio per questo l’atteggiamento degli Cnidi e dei Rodii in Sicilia lascia sorpresi.
Nella comunità delle Eolie si operò una divisione dei lavori: alcuni si dedicarono ala difesa contro i pirati etruschi (i Tirreni), che infestavano i mari circostanti; altri si diedero a coltivare le terre di Lipari e delle isole limitrofe, che rimasero di proprietà pubblica. Tutto ciò che veniva prodotto era messo in comune e serviva per alimentare i sissizi, ovvero i pasti comunitari. Con il passare degli anni venne parzialmente introdotta una forma di proprietà privata: le terre furono effettivamente assegnate a singoli cittadini, ma ogni venti anni gli appezzamenti venivano espropriati e riassegnati tramite sorteggio.
Lo scopo di un simile provvedimento era evidentemente di evitare accentramenti di proprietà nelle mani di pochi. In effetti in quasi tutte le colonie greche, dopo l’originaria spartizione delle terre ai tempi della fondazione, si formò gradualmente un’aristocrazia terriera sempre più dominante. I Greci delle Eolie fecero di tutto per evitare che ciò avvenisse.
Prima di leggere il testo di Diodoro, una piccola nota sul termine usato dall’autore per indicare la divisione ventennale delle terre di Lipari. Molte traduzioni moderne si limitano a registrare che i coloni si distribuivano (κληρουχοῦσιν, cleruchùsin) le terre. Questo è un classico esempio di come la lettura diretta delle fonti sia essenziale. Infatti il verbo greco non indica una semplice spartizione, bensì un’assegnazione eseguita mediante clèros (κλῆρος): quest’ultimo era l’oggetto (sassolino, conchiglia, pezzetto di legno) che veniva usato per l’estrazione a sorte. La redistribuzione delle terre delle Eolie avveniva dunque attraverso sorteggio.
L’importanza del mondo coloniale nella civiltà greca
La domanda che in molti a questo punto si staranno facendo è se il comunismo delle Eolie ebbe successo o no. A giudicare dalle fonti letterarie e archeologiche in nostro possesso, sembrerebbe di sì: tutto ci parla di un periodo di prosperità, fino almeno a quando, nella seconda parte del V secolo a.C., la città di Lipari fu conquistata dagli Ateniesi nel corso della loro spedizione in Sicilia.
L’esperimento del comunismo alle isole Eolie fu un fatto eccezionale nella politica greca. Alcuni hanno sottolineato come tale eccezionalità si spieghi con il momento di crisi vissuto dalla comunità isolana: privata del fondatore Pentatlo, si trovò sotto la pressione schiacciante dei pirati etruschi, che nell’arcipelago dovevano trovare dei covi ideali. In effetti i pirati devono aver messo alla prova la sopravvivenza stessa della colonia. Sotto tale minaccia, gli abitanti di Lipari devono aver deciso di assegnare una fetta di popolazione, in modo permanente, alla difesa dei mari. Ma chi avrebbe voluto mai stare tutto il giorno sulle acque invece di dedicarsi alle proprie terre? È probabile allora che la messa in comune dei beni fu la soluzione escogitata per accontentare tutti i cittadini e, allo stesso tempo, proteggersi dai pericoli esterni.
Tuttavia questa spiegazione non basta. Quante città greche si trovarono a far fronte a minacce esterne o interne, anche ben più forti di quelle verificatesi alle Eolie? Eppure il comunismo non fu mai la soluzione, tranne che alle Eolie. Un elemento importante da tenere in considerazione, per comprendere il fenomeno, è la specificità dell’ambiente coloniale. I Greci che abbandonavano le loro madrepatrie dovevano riorganizzare la propria convivenza, rifondando da zero gli istituti sociali che conoscevano. Questo poteva portare alla messa in discussione di quelle stesse istituzioni.
Proviamo ad immaginare: se un individuo nasce in un contesto dove certe consuetudini (chi gestisce la giustizia, come si dividono le terre, ecc.) sono il risultato di secoli di sedimentazioni, per lui sarà più difficile mettere in discussione tali usanze. Ai suoi occhi saranno come dati di natura, da accettare semplicemente; per mutare simili leggi serviranno elementi di crisi dirompente. Immedesimiamoci invece nei cittadini delle nuove città-colonie: questi ultimi dovevano e potevano ripensare dalle radici le norme sociali a loro familiari, poiché avevano bisogno di ricrearle. Si capisce allora come l’ambiente coloniale diede un contributo decisivo allo sviluppo del diritto e del pensiero politico di tutto il mondo greco. Non è un caso che tra i legislatori più antichi che si ricordino, almeno due erano di origine coloniale: Zaleuco di Locri e Caronda di Catane.
Dobbiamo pensare alla vita nelle città di nuova fondazione come a qualcosa di instabile, dove gli individui potevano facilmente mettere in discussione lo stato di fatto. Certamente i Greci che si fermarono alle Eolie non erano partiti avendo in mente un pensiero utopico di uguaglianza. Ebbero un problema grave da fronteggiare e la loro “libertà mentale” (erano soltanto loro a decidere del proprio destino) suggerì loro una soluzione radicalmente diversa da quella consueta.