Questo articolo in breve:
La traduzione del greco antico e del latino sono la spina nel fianco degli studenti liceali. Le versioni di Demostene, Plutarco o Cicerone si trasformano spesso in veri e propri flagelli, capaci di trascinare schiere di giovani verso insufficienze e debiti a settembre. Da qui, ovviamente, la triste fama del latino e, ancor di più, del greco antico come lingue molto complesse. Tuttavia cercherò ora di mostrare come tale difficoltà non riguardi affatto le lingue classiche in sé, bensì il metodo usato per tradurle.
Traduzione e metodo grammaticale
Il metodo grammaticale adottato nei licei odierni ha uno scopo evidente: riuscire a tradurre qualsiasi testo antico, indipendentemente dal contesto in cui si trovi. Uno studente, messo davanti a una frase o un brano di Platone (poco importa se non sappia nulla di chi stia parlando e con quali fini) deve saperlo tradurre correttamente. Per giungere a questo risultato, il metodo grammaticale prevede tre fasi:
- Memorizzazione dettagliata della grammatica del greco antico o del latino (declinazioni, coniugazioni, sintassi, ecc.)
- Analisi razionale della frase da tradurre, in modo da individuare le categorie grammaticali prima studiate (nomi, verbi, pronomi, proposizioni, ecc.), senza ancora comprendere il senso dell'enunciato.
- Ricerca sul vocabolario dei significati delle parole, in modo da dare un senso a quelli che già sono stati riconosciuti come soggetto, verbo, complemento, proposizione reggente, ecc.
Un esempio paradossale di traduzione
Immaginare come funzioni concretamente il metodo grammaticale, per chi non lo abbia mai utilizzato, può risultare complicato. Per avere un'idea dello spaesamento dello studente liceale, possiamo però ricorrere ad un esempio paradossale.
La lingua che conosciamo meglio è ovviamente quella che abbiamo appreso da bambini, ovvero, nel nostro caso, l'italiano. La grammatica di questa lingua ci è nota meglio di qualunque altra, anche se non sempre in modo consapevole (usiamo cioè delle regole senza averle studiate necessariamente). Ad ogni modo, davanti a un testo italiano dovremmo saper riconoscere le parti fondamentali (soggetto, verbo, ecc.). Dopo questa premessa, immaginiamo di accostarci ad una lingua che abbia la stessa grammatica dell'italiano, ma un lessico completamente diverso. Teoricamente, dovremmo trovarci nella medesima condizione dello studente che abbia acquisito la grammatica del greco antico e che sia chiamato a tradurre. Ecco, ora dobbiamo decifrare la seguente frase dell'italianoide:
I maladati cetto che gri non avevano poscibi sul cagno, fassero di anzicare alle pienderle del vanno.
Panico. Spaesamento. Incertezza. Esattamente le stesse sensazioni che prova un ragazzo alle prese con una frase in greco antico o in latino. Come nel nostro caso, quel ragazzo si trova a leggere il testo dall'inizio alla fine senza comprendere nulla. E poi inizia la "traduzione".
Primo passo: individuare i verbi. Avevano, su questo non ci piove, è la terza persona plurale dell'indicativo imperfetto del verbo avere. Anche fassero è senz'altro un verbo, però qui nascono i primi dubbi: anzitutto ci viene in mente un congiuntivo, sul modello di "mangiassero" o "portassero"; però potrebbe trattarsi anche di un indicativo passato remoto, tipo "dissero" o "trassero". Infine, anche anzicare ha tutta l'aria di essere un verbo all'infinito. Per quanto riguarda vanno, è chiaramente un tranello: se fosse un verbo, alla terza persona plurale, non potrebbe essere preceduto dalla preposizione del.
Secondo passo: identificare la frase reggente e le eventuali subordinate. La proposizione contenente avevano ci sembra proprio una relativa introdotta da che. Pertanto dobbiamo supporre che la frase reggente, o principale, sia quella con fassero. A questo punto stabiliamo che fassero, trovandosi nella reggente, sia un indicativo passato remoto. Da qualche parte avevamo studiato che possono esistere delle reggenti col congiuntivo, però si trattava di eccezioni. Incrociamo le dita e tiriamo dritto.
Terzo passo: trovare i soggetti delle frasi. I maladati, nome maschile plurale, lì all'inizio dell'enunciato, ha tutte le sembianze di un bel soggetto. Tanto più che sia avevano che fassero richiedono un soggetto plurale. Però, guardando la relativa, ci accorgiamo che anche gri potrebbe essere un maschile plurale, e dunque, potenzialmente, il soggetto di avevano. Comunque gri non è preceduto da articolo, dunque come soggetto rimane la nostra seconda scelta.
Con questa impalcatura in testa, siamo pronti per il passo decisivo: il vocabolario. Maladato: sostantivo maschile, "soldato", "mercenario"; al plurale: "truppe", "esercito". Benissimo, si parla di guerra. Cetto, grave problema: sul vocabolario non c'è. L'ansia comincia a salire. Tanto più che non capiamo cosa ci faccia un nome maschile singolare, dopo il soggetto, senza nessuna preposizione che lo trasformi in complemento; avverbio non è perché sul vocabolario lo avremmo trovato. Questo è un bel dilemma. Dopo esserci scervellati per una decina di minuti, lasciamo perdere e proseguiamo nella ricerca dei significati.
Gri: avverbio, "già", "ormai"; poscibo: sostantivo maschile, "informazione", "aggiornamento", "notizia". Cagno: altro problema. Sul vocabolario gli sono dedicate quattro pagine. Praticamente vuol dire qualsiasi cosa: "circostanza", "situazione", "fatto", "cosa", ecc. Abbozziamo una prima, malcerta, traduzione: "Le truppe ... che ormai non avevano aggiornamenti sulle cose...".
Fassero sembra essere il verbo irregolare farre. Sul vocabolario troviamo che, seguito da di + infinito, significa "preferire". Anzicare vuol dire "aspettare"; vanno, "collina", "monte". Pienderla è un sostantivo femminile, per il quale ci viene riferito il significato di "base", "fondo". Ecco, dopo svariati minuti di lavoro, siamo pronti per la nostra traduzione:
Le truppe ... che ormai non avevano aggiornamenti sulle cose, preferirono aspettare in fondo alla collina.
Questa frase è portatrice di un senso scadente, ne siamo consapevoli. Anzi, ammettiamolo, l'abbiamo tradotta senza comprendere ciò che stavamo traducendo. Poi, quando il professore di italianoide ci riferisce la traduzione corretta, improvvisamente capiamo:
I soldati, visto che ancora non avevano notizie sulla situazione, decisero di attendere alle pendici del monte.
L'insegnante ci spiega che cetto è, grammaticalmente, il participio passato del verbo cire, che significa "osservare", "vedere". Cetto che è un'espressione molto frequente in italianoide, uguale all'italiano "visto che": ha dunque il ruolo di una congiunzione causale, come "poché", "dal momento che". Noi invece abbiamo tradotto la frase contenente avevano come una relativa, non una causale. Un bell'errore!
Traduzione grammaticale e scheletro della frase
Dopo questo esempio, possiamo trarre delle conclusioni interessanti. Qualsiasi persona chiamata a tradurre l'italianoide nel modo appena descritto, concluderebbe che quella lingua sia quanto mai complicata. Probabilmente rinuncerebbe ad apprenderla, constatando che occorrerebbero anni di fatica per dominarla. Ma si tratterebbe di una lingua assolutamente simile all'italiano, anzi identica a quest'ultima sul piano grammaticale. E allora?
Nella traduzione grammaticale siamo per così dire chiamati a individuare lo scheletro di una frase. Con l'ausilio della grammatica, capiamo che quella è una spina dorsale, quella una scapola, quella ancora una tibia. Ma ancora non abbiamo alcuna idea della persona che andrà a costituirsi. Potrebbe essere un uomo, una donna, un anziano o un bambino. Potrebbe avere la pelle chiara o scura, i capelli biondi o bruni. Quando tutte le ossa sono al loro posto (almeno si spera!), il vocabolario ci aiuta a dare una forma a quello scheletro e a scoprire, finalmente, chi abbiamo di fronte.
Ora pensiamo invece a quello che succede quando parliamo o leggiamo una lingua qualsiasi. Il nostro cervello, man mano che le frasi procedono, trattiene i significati delle parole che incontra, una dopo l'altra. Ancora non ha idea della struttura interna delle frasi, anzi possiamo dire che proceda in senso inverso rispetto a quello della traduzione grammaticale: mette insieme dei frammenti di significato (aspetto esteriore) e, sulla base di questi e delle conoscenze grammaticali inconsce o preconscie, desume in modo automatico quale possa essere l'ossatura dell'enunciato (scheletro).
L'inganno della traduzione grammaticale
Ora, quello che mi sento di dire con certezza, è che l'insegnante di italianoide che abbiamo citato prima, per decifrare la frase proposta abbia seguito le più comuni consuetudini linguistiche, e non il metodo grammaticale che invece richiede ai suoi studenti. Mi spiego meglio, ritornando al nostro greco antico.
Chi insegna greco e latino nei licei ha frequentato un'università dove gli è stato richiesto di leggere in lingua originale numerosi testi antichi, dall'inizio alla fine. Uno degli esiti di queste letture è l'acquisizione di un vasto lessico di base. Durante gli studi si è formato inoltre una grande cultura sul contesto storico dell'antica Grecia e di Roma. Lessico e contesto: sono questi i due capisaldi che l'insegnante usa per tradurre. Sono questi che gli suggeriscono, da subito, un senso generale degli enunciati, sulla scorta del quale può poi desumere con sicurezza lo scheletro grammaticale della lingua.
Stando così le cose, è logico che gli studenti di liceo vedano la capacità di tradurre del docente come una specie di magia. Come fa a riconoscere al volo un participio o a indovinare il significato di una data parola, tra mille possibili? È semplice: fa l'opposto di quello che dice di fare, cioè parte dai significati per desumere la grammatica. Ricordo ancora come la mia professoressa di greco, al liceo, ci impedisse di usare il vocabolario per il primo quarto d'ora delle versioni in classe: prima dovevamo far l'analisi del periodo. Pura crudeltà!
Ritornerò sulle conseguenze di questo metodo usato nelle scuole. Per il momento voglio concludere con una riflessione: quello che si insegna nei licei non ha nulla a che vedere con il greco antico e con il latino. L'oggetto di studio riguarda il metodo grammaticale, ovvero lo sforzo richiesto allo studente per invertire le sue consuetudini linguistiche. Quest'impalcatura logica può essere applicata a qualsiasi lingua, ed infatti abbiamo potuto utilizzarla su un immaginario italianoide.
Da ciò deriva il fatto che la fama del greco antico come lingua difficile, sia del tutto fuorviante. Ciò che è complicato è il metodo grammaticale. Apprendere il greco antico come una lingua e non come una cavia per linguisti, può invece essere gratificante e alla portata di chiunque sia animato da una sana passione.