Questo articolo in breve:
- Presunto errore nella versione di maturità classica.
- L’errore non c'è.
- Difficoltà di comprensione della versione senza il contesto.
- Riflessioni sul tipo di prova (versione senza contesto).
Ieri circa diecimila studenti del classico impegnati nell'esame di stato hanno affrontato un brano di Aristotele. In questo articolo di Panorama, poi ripreso da numerose altre testate online, un insegnante di liceo classico milanese ha criticato a caldo la scelta del passo, giudicandolo "nettamente al di sopra della media competenza di un qualsiasi studente di liceo". Ha ragione, ma su questo torneremo alla fine.
Il presunto errore
Il titolo e il nocciolo dell'articolo, però, rimproverano al ministero un "errore grave":
Dopo un soggetto, per di più oscuro perché fa implicito riferimento a un brano di Omero, nel testo compare un punto che nella versione originale non esiste. ll punto sbagliato, ovviamente, ha creato un disastroso ostacolo di comprensione in più per gli studenti, perché separava il soggetto dal successivo predicato verbale. Anche noi professori […] siamo rimasti sconcertati. Abbiamo risolto l'enigma andando a verificare il testo corretto nella versione più accreditata, quella dell'Oxford classical texts.
La Oxford Classical Texts è un'autorevolissima collana di edizioni critiche di testi antichi. Un'edizione critica è il risultato del lavoro di esperti che, confrontando le copie di un testo giunte fino a noi (i manoscritti medievali possono contenere versioni anche molto diverse tra di loro di una stessa opera), si sforzano di ricostruire un testo il più possibile immune dagli errori dei copisti e il più verosimilmente vicino all'originale antico.
Naturalmente si tratta di un'approssimazione. Ricostruire l'originale è impossibile: non solo infatti non abbiamo nessun testo scritto direttamente da Aristotele (autografo), ma addirittura quindici secoli di copiature ci separano dal papiro su cui l'autore scrisse!
In realtà, nessun errore nella versione
La questione, però, è che l'errore contestato non c'è: il testo dato dal ministero è perfettamente fedele all'edizione critica dell'Etica Nicomachea di Aristotele, curata proprio per la Oxford Classical Texts da Bywater nel 1894. Ecco prima la foto del passaggio incriminato (Aristotele, Etica Nicomachea 1155a, righe 15-16) e poi la trascrizione e la traduzione:
“σύν τε δύ’ ἐρχομένω·” καὶ γὰρ νοῆσαι καὶ πρᾶξαι δυνατώτεροι.
“Se due vanno insieme:” e infatti sono più efficaci nel pensare e nell'agire.
Le prime parole, messe fra apici, sono una citazione di Omero (Iliade 10, v. 224). Qui Omero racconta che il saggio acheo Nestore aveva consigliato un'incursione notturna nel campo troiano. Diomede si offrì per l'impresa, ma chiese che lo accompagnasse Odisseo, aggiungendo: "Se due vanno insieme, l'uno vede quello che sia meglio; uno solo invece, se pure lo vede, ha però mente più corta, acume minore".
È vero che nel testo di Omero dopo erchoméno (ἐρχομένω) c'è una virgola, ossia una pausa debole, e non una pausa forte come il punto in alto, che in italiano corrisponde ai due punti. Aristotele però sta citando a memoria, come tutti gli antichi, e ritaglia dalla frase dell'Iliade solo il pezzetto che gli serve.
Un esempio moderno
Facciamo un esempio con un testo italiano che tutti conosciamo: "Nel mezzo del cammin di nostra vita/ mi ritrovai per una selva oscura" sono i primi due versi della Commedia di Dante (l'esempio è pertinente anche perché neppure di Dante, come di Aristotele, abbiamo una sola riga scritta di suo pugno). Immaginate che un insegnante, come in fondo era Aristotele, voglia illustrare qualcosa del primo verso. Scriverebbe ad esempio così:
“Nel mezzo del cammin di nostra vita”: Dante ha 35 anni, quindi la scena della selva si svolge nel 1300.
Come vedete, la citazione è solo un pezzo di frase e fa pensare a un soggetto "io" oppure "noi"; siccome però la frase che segue ha un soggetto di terza persona (Dante), occorre proprio una pausa forte. Nel testo dantesco i due punti non ci sono, ma qui servono a segnalare che la citazione finisce lì, perché non serve altro: l'insegnante vuole spiegare l'informazione di tempo fornita da quella frase, sebbene incompleta, quindi tralascia il resto, certo che quei versi siano molto conosciuti – tanto che può parlare di scena della selva senza spiegare un episodio notissimo.
Aristotele ha fatto qualcosa di molto simile: lui e i suoi lettori conoscevano benissimo Omero, sicché bastava loro un piccolo accenno per richiamare alla memoria l'episodio dei due amici achei che fanno strage di Troiani. Inoltre, in quel contesto al filosofo interessava sostenere che Ulisse e Diomede, proprio perché erano in due ed erano amici, erano “più abili a pensare e ad agire”. Il resto della frase omerica non è pertinente e quindi viene tralasciato.
Ecco perché quel punto ci vuole
Un errore, se mai, lo fa proprio chi vorrebbe segnalare l’errore del ministero, perché la grammatica stessa dimostra che quel punto in alto (i due punti in italiano) era inevitabile. Ecco perché.
Il participio erchoméno (ἐρχομένω) è declinato al duale, una forma che esisteva in greco accanto al singolare e al plurale per indicare due cose o persone; il duale qui va benissimo, visto che Omero cantava di una coppia di eroi. Quando però Aristotele continua la frase con parole sue, parla dei due amici con il plurale dynatōteroi (δυνατώτεροι) e non con il duale dynatōtérō (δυνατωτέρω), sia perché l'Etica Nicomachea è stata stesa in forma di appunti, sia perché all'epoca di Aristotele il duale era ormai scomparso dall'uso, era il relitto di una lingua arcaica. Nella frase è sottinteso il verbo "sono" o "erano", ma possiamo scommettere che Aristotele lo aveva pensato al plurale e non al duale.
Una difficoltà ragionevole per studenti di liceo?
A questo punto voi direte che si tratta di questioni capziose, di difficoltà assurde per una prova di greco sottoposta a dei diciannovenni. E avete ragione. Quel punto del testo andava illustrato con una nota, in cui tradurre la citazione omerica e spiegarne il contesto; oppure bastava tagliare la frase: il senso del passo non ne soffre affatto.
Proprio qui sta il problema: si chiede agli studenti di individuare e risolvere da soli un problema filologico e intertestuale (si tratta di un autore che ne cita un altro); anzi, di riconoscere un duale, ossia una forma che forse avevano studiato al primo anno, senza incontrarla mai più nei testi.
La prova di maturità era troppo difficile?
La questione e la polemica sollevate da Panorama, però, sono più generali. Infatti alla fine dell'articolo il professore conclude:
Non è giusto che l'esame di maturità per i licei classici si svolga per tanti anni su prove di latino spesso banali e facili, inframmezzate invece da pochi casi di prove dal greco sempre più complesse e difficili […]. Viene da pensare che l'episodio nasconda una vecchia strategia […]. L'obiettivo di una traduzione impossibile come questa è dimostrare che nei licei classici nessuno è più in grado di tradurre dal greco, e che quindi il greco dovrebbe essere abolito.
Traduzione impossibile? Domandiamoci piuttosto: in che misura gli studenti traducono e soprattutto capiscono i testi greci, e in che misura invece scaricano traduzioni dalla rete, o copiano una traduzione data nelle note del loro stesso manuale, o imparano a memoria le traduzione fatta a lezione dall'insegnante?
Ancora più chiaramente: l'obiettivo sono la grammatica, lo studio e il riconoscimento della regola e dell'eccezione, anzi perfino la filologia, oppure la lettura estensiva e la comprensione del testo in originale? Nel primo caso è inevitabile che lo studente s'incagli al punto dopo una frase incompleta e che, se pure riconosce il duale, sia poi ancor più in difficoltà nel legarlo al resto della frase. Nel secondo, lo studente magari non vedrebbe il duale, ma riconoscerebbe il ritmo dell'esametro (il verso omerico), forse ricorderebbe di aver letto in originale una parte del canto X dell'Iliade, e soprattutto capirebbe lo scopo di quel piccolo ritaglio di testo nel complessivo discorso di Aristotele; capirebbe il contesto di quelle righe e saprebbe proseguire, fino ad avere un quadro sufficientemente ampio e chiaro di quel che Aristotele pensava dell'amicizia. Perché non dovremmo dimenticare che il tema della prova è quello, e su quello si dovrebbero misurare il valore del brano e le competenze dello studente – non su un punto che c'è o non c'è.
Dice ancora a Panorama il professore:
Un testo particolarmente lungo (17 righe) e complesso. […] Il testo infatti è tratto da una raccolta di appunti, destinati ai discepoli di Aristotele. Proprio poiché sono appunti, però, la struttura delle frasi è estremamente semplificata: mancano alcuni verbi; qua e là ci sono repentini cambiamenti di soggetto […]. Insomma, è un brano che ha una sintassi frantumata, frammentaria: con tutto il rispetto dovuto ad Aristotele, si potrebbe dire sgangherata”.
L'insegnante ha delle ragioni, come si è visto, ma forse sta criticando anche il sistema di cui fa parte. Dopo cinque anni di studio e 560 ore di greco, un passo di diciassette righe – una pagina di edizione critica: lo 0,4% dell'Etica Nicomachea e molto meno di un millesimo dell'intera opera di Aristotele – rappresenta un ostacolo insormontabile per un liceale medio. Diciassette righe. In quattro ore. Con il dizionario.
Non andrà abolito il greco, ma qualche domanda seria sul modo in cui si arriva a questo non-risultato ce la si dovrebbe fare. Questo però è un altro discorso: ci torneremo presto.